OMELIA XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Anno A

LETTURE: Sap 6,12-16; Sal 62; 1 Ts 4,13-18; Mt 25,1-13

Oggi la liturgia offre alla nostra riflessione un tema fortemente significativo: la Sapienza.

Dobbiamo premettere che la Sapienza, per noi cristiani, non è prima di tutto il frutto di una riflessione pur accurata, ma una Persona: Lo Spirito Santo. Il frutto della Sapienza è la consapevolezza che Egli operando in noi porta ad una esperienza di una pienezza che rende la vita compiuta e significativa in ogni suo agire.

Proprio perché è una “Persona” il primo modo per sperimentarla è domandarla: “si lascia trovare da quelli che la cercano. Nel farsi conoscere previene coloro che la desiderano”. Chiedere poi diventa un reale lavoro che porta ad giudizio sulle cose che si vivono, un lavoro arricchito proprio dai doni dello Spirito Santo e cioèì, da un confronto con la ricchezza di quella esperienza che abbiamo ricevuto dalla tradizione, e che alimentata continuamente dalla Parola di Dio e dalla testimonianza del popolo cristiano, che ha nei suoi santi l’esempio e il fascino più vero, porta a delle scelte di vita vera per sé e per il mondo.

Un giudizio è un’esperienza vera quando tiene in considerazione Tutto e nel tutto devono essere presenti le motivazioni più profonde che sostengono la vita di ogni uomo: le domande fondamentali….

La Sapienza è frutto della Vigilanza ci ricorda il Vangelo letto. Vigilare perché nell’azione non si dimentichi nulla, nessun particolare, così che tutto ciò che si opera cooperi al bene di chi agisce.

San Paolo ci ha ricordato oggi il destino di ogni uomo: “Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti…”  Nella tradizione cristiana, mettere al primo posto questa consapevolezza è sempre stato il primo passo di un agire sapiente.  Non per spaventare, ma per aprire il cuore a quel destino buono a cui siamo in cammino, per desiderarlo e perché ogni gesto compiuto nell’oggi possa esserne già l’anticipo. (già e non ancora)“Ricordati che deve morire”, così si salutavano i monaci cistercense, ricordati che sei destinato a grandi cose, sii sapiente non sciupare la tua vita in cose di poco conto, preparati a quel momento definitivo vivendo in profondità ogni cosa, anticipando qui, ciò che un giorno sarà eterno.

La società di oggi, del tutto e subito, ha paura della parola morte e l’ha estromessa dal suo vocabolario. Dimenticandola, a messo da parte una componente essenziale della Sapienza, ha costruito così, qui, nell’oggi, altre “morti”, dove l’uomo si autodistrugge, paradossalmente con esperienze che chiama “vita”, vita per qualche istante, ma che si conclude sempre con quell’amaro in bocca che è il contrario di quella pienezza che il cuore desidera, dimensione da cui partire sempre per ogni vero giudizio.

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