OMELIA XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Anno A

LETTURE: Is 55,6-9; Sal 144; Fil 1,20c-27a; Mt 20,1-16°

Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie.

Domenica scorsa abbiamo meditato la logica del Perdono, abbiamo affermato che questo diventa possibile a chi si sente a sua volta perdonato nel suo limite, nel suo peccato quotidiano, piccolo o grande che sia.  Ecco oggi riaffermata sotto altro aspetto questa stessa logica, quella della giustizia divina. Nella Bibbia questa dimensione è arricchita da alcune parabole, come quella del Padre misericordioso o da episodi come nel libro veterotestamentario di Giona: significativa la finale, leggiamo: “E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?”

Noi uomini ci portiamo appresso un’idea di giustizia ben rappresentata dalla bilancia, erede della vecchia legge del taglione, seppur modernizzata, e questo, non semplicemente davanti ad uno sbaglio, ma anche per ogni azione che prevede uno scambio di beni o servizi; Dio, come ricorda la frase ascoltata nella prima lettura di Isaia, ha invece altri criteri, con i quali, i cosi detti buoni, si scontrano sempre, e non semplicemente nelle narrazioni bibliche, ma anche nell’ oggi, nei pensieri e affermazioni. Esempio classico, quando senza mezzi termini affermiamo frasi del tipo, “noi che veniamo in chiesa dovremmo essere trattati meglio di chi non ci viene… Invece  a volte non è così…”  così facendo la logica della parabola odierna è affermata in pieno.

La Giustizia di Dio è misericordia

Primo, perché conosce fino in fondo ciascuno di noi e sa chi siamo veramente, non è il singolo atto che determina una persona, ma tutta la sua storia.

Secondo, perché ogni atto di scelta positivo, se vissuto seriamente, può riscattare tutta una vita; un fatto positivo è sempre il frutto di un lavoro e non di un semplice atto di generosità, magari interessato, pensiamo al buon Ladrone sulla croce.

Terzo, perché le circostanze che determinano le nostre scelte (vedi operai della parabola) non accadono per tutti nello stesso modo o nel medesimo tempo. Rispondere a quelle che interpellano la propria persona, è l’inizio di un possibile cambiamento radicale della vita; Dio si avvicina a noi, nei tempi e nei modi che Egli conosce, in termini cristiani questa esperienza si chiama “grazia” e chi accoglie ricomincia sempre con uno stacco dal passato, almeno come desiderio. Dio vede e sa sempre premiare.

E ancora, ed è forse il succo della parabola odierna, lavorare seriamente nella vigna del Signore fin dal primo momento, vedi il figlio maggiore della parabola del Padre misericordioso, dovrebbe essere un’esperienza così gratificante da non aver bisogno di un supplemento di benevolenza. “Figlio io sono sempre con te e ciò che è mio è tuo, ma bisognava far festa per questo figlio che avevo perduto e che ora ho ritrovato”. Questi lavoratori, che per mille motivi erano lontani dalla mia vigna ora, superati gli ostacoli che lo impedivano, accolto l’invito, possono ora anch’essi gioire con noi dello stesso dono, avere la stessa ricompensa.Chi lavora in casa propria non prende uno stipendio, dovrebbe essere gratificato dalla gioia del donarsi, perché tutti i membri della famiglia siano felici e, se per disgrazia qualcuno dovesse allontanarsi, gioirne ancor di più quando ritorna sino al punto da saper e voler ricondividere con lui tutto, anche quello che si è costruito in sua assenza.

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