OMELIA XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Anno A

LETTURE: Ez 33,7-9; Sal 94; Rm 13,8-10; Mt 18,15-20

Il profeta Ezechiele ricorda oggi ha chi ha l’autorità nella chiesa, il servizio della verità. (Autorità non è semplicemente chi ha il compito di decidere per se e per altri, (Papa, Vescovi…) ma è ogni adulto, chiamato per definizione a generare vita in sé e attorno a sé: è il grande compito educativo

La verità non è una formula per noi cristiani, ma una persona: Gesù Cristo “Io sono la via, la verità e la vita”. La verità quindi non sta nell’imparare formule, spesso incapaci di incidere sulla vita, ma seguire una persona ben precisa a cui tutta la tradizione della Chiesa ha sempre guardato e dall’esperienza fatta ne ha colto i tratti fondamentali, tratti che continuamente offre a tutti perché non sia semplicemente accostata con lo sguardo sentimentale o semplicemente riduttivo.

E’ una testimonianza, una vita dunque: fatti e parole, che Ella dona alla responsabilità personale di chi la incontra. Personale, cioè, qualcosa che ciascuno è chiamato a farla diventare propria attraverso una sua esperienza precisa a cui dovrà sempre seguire un giudizio: gesti che non sono “definitivi” una volta per tutte, ma il lavoro di una la vita.

Se da una parte, è sempre Ezechiele che parla, non si deve tradire la consegna (Tradizione), per non cadere in una grave responsabilità verso il prossimo, dall’altra chi vede, chi incontra, chi è chiamato ad un lavoro, dovrà assumersi le proprie responsabilità e non accampare scuse.

Che questo debba essere un continuo lavoro, lo esprime molto bene il Vangelo: I due soggetti, chi consegna l’esperienza (Tradizione) e chi la riceve hanno il compito di interagire continuamente, nessuno è dispensato, offrendosi reciprocamente il frutto che scaturisce da questo impegno con la vita. La correzione fraterna non è dire all’altro semplicemente “tu sbagli” in nome di una verità astratta, ma, al contrario, partendo sempre da se stessi, “io faccio così perché quello che vivo, e continuamente riscopro, sento che mi accomuna ancora di più con quel Gesù che ho scelto, e te lo offro come ulteriore contributo alla mia testimonianza”.

L’affermazione finale del Vangelo è l’evidenza chiara che la vita in Gesù cresce se la dinamica di cui sopra diventa desiderio e compito quotidiano.  Testimoniare, imparare, testimoniare ancora e sempre imparare, un flusso di vita continuamente rigenerato dall’esperienza che un giorno ci ha affascinato e che chiede sempre delle ragioni perché sia percepita vera. “… dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”. Senza questa esperienza: “Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano”

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