OMELIA XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Anno A

LETTURE: 1 Re 19,9a.11-13a; Sal 84; Rm 9,1-5; Mt 14,22-33

La liturgia riprende in queste domeniche i segni che Il Messia, nuovo Mosè, avrebbe dovuto compiere per testimoniare l’autenticità del suo mandato: “dacci un segno!” ripetono infatti gli ascoltatori…. Gesù li pone, si tratta di riconoscerli.

Mosè aveva operato il miracolo del mare e quello della manna. Domenica scorso, se non fosse stata la festa della Trasfigurazione, avremmo letto il segno del pane, che nella manna aveva il suo segno profetico e che in Cristo diviene pane che non perisce e che nutre per la vita eterna. Oggi il segno del mare.

Il mare, il popolo d’Israele passando per quelle acque diventa popolo libero, gli apostoli affrontando le acque del lago di Galilea in tempesta, recuperano e rinsaldano la loro fede in Colui che nelle acque del Battesimo salverà l’uomo che rischia di affondare, quando confida semplicemente alle sue forze.

Ma la preoccupazione della Parola ascoltata, a partire da questi due episodi, è quella comunque di un tema più ampio: Il Dio di Israele ha un metodo per comunicare, quello dei segni. Anche il discorso di Gesù in parabole delle trascorse settimane è riconducibile a questo metodo: porre parole e gesti che dicono e non dicono per lasciare a ciascuno il compito di un lavoro che pone in gioco la propria libertà e la costringe a prendere comunque una posizione, che è tale anche quando si fa finta di non prendere in considerazione la provocazione.

Il profeta Elia, nella prima lettura, fa esperienza di Dio nel “il sussurro di una brezza leggera.”, Significativo questo richiamo in un tempo in cui, lo sconvolgimento della natura, terremoti, uragani erano espressioni dell’ira degli dei, Il Dio di Israele si presenta con un segno di tenerezza e di consolazione.

Se i segni della consolazione sono di per sé, più facili ad essere riconosciuti, meno lo sono quelli in cui la tempesta della vita si appressa al nostro quotidiano e le nostre forze vengono meno.  Dio sembra lontano, un fantasma che complica la situazione, solo il coraggio di gridare di più, può salvare la situazione e riportare la bonaccia.

Nella Fede tutto è grazia nella misura in cui la libertà personale sa coinvolgersi con gli avvenimenti della vita e raccogliendo la provocazione della situazione contingente, legge la presenza del Mistero che conduce la propria esistenza, verso quella pienezza per cui è stata voluta. Se tutta la vita chiede il coraggio di questo sguardo profondo alla realtà, il momento delle ferie, può essere un tempo particolarmente favorevole. La Parola “riposo” per il cristiano non è un vago tempo vuoto da riempire con qualcosa di diverso da altri momenti, ma uno sguardo profondo sul cammino fatto – ri-posare – per cogliere la presenza di chi conduce la storia e in essa le nostre povere persone, da Lui amate come la realtà più cara.

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