OMELIA XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Anno A

LETTURE: 2 Re 4,8-11.14-16a; Sal 88; Rm 6,3-4,8-11; Mt 10,37-42

Ritornano in questa domenica ulteriori richiami, che arricchiscono la vocazione del Cristiano, chiamato a portare Cristo al mondo, chiamato ad essere “Cristo” nel mondo

Ritorna, come domenica scorsa, il tema della croce, Gesù non lo aveva tenuto nascosto ai suoi discepoli, “Come hanno perseguitato me, così perseguiteranno Voi”.  Ritorna fondamentale il discorso di una intimità profonda con la Sua persona, per scoprirne tutta quella capacità di senso che sgorga da quell’unità profonda con Lui. In Lui tutti gli affetti, addirittura la propria persona prendono valore e ricchezza giusta: un “prima” non temporale, ma un “prima” come fondamento: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me – addirittura – Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà.»

Un’esperienza che addirittura, maturando in noi il dono del Battesimo, ci fa Lui, oggi, nel mondo, perché il mistero dell’incarnazione continui e l’uomo possa incontrare “oggi” la salvezza del nostro Dio: “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.”.

Questa ultima sottolineatura introduce la parola “accogliere”. E’ un verbo poco di moda in una società come la nostra, individualista, ma è una parola su cui il Vangelo spende parecchie pagine: dal rifiuto di Israele, già annunciato dai profeti, al mistero delle tenebre che vogliono soffocare la luce. E’ la parola a cui Gesù e tutta la scrittura legano l’unica realtà che vale, la vita eterna, a tal punto che chi accoglie il docile strumento inviato da Dio anche con un piccolo gesto di apertura, un bicchiere d’acqua, ”non perderà la sua ricompensa”.  L’episodio di Elia nella prima lettura è ulteriormente chiarificatore.

A questo punto si impone un piccolo esame di coscienza, noi che siamo chiamati ad andare, ad essere Cristo nel mondo, per non cadere nel pericolo di portare noi stessi, o peggio il criterio del mondo, quanto siamo preoccupati di “accogliere”. La vita non è una esperienza statica ma la continua capacità di un ricevere e di un dare, dove la crescita sta in un continuo lasciarsi generare e nello stesso tempo un generare.

Siamo spesso di fronte ad uno spettacolo meschino, Cristiani, che si ritengono imparati, direbbe qualcuno, che per le quattro nozioni che hanno assimilato nel catechismo della prima Comunione si ritengono “arrivati” e si  chiudono ad ogni possibile ulteriore provocazione, perché sanno già, ergendosi poi a giudizio per qualsiasi criterio che non concordi con il loro “sapere” Dovremmo riscoprirci e poi potremo parlare di stima reciproca e saperci ascoltare, accogliere. Spesso il preconcetto impedisce qualsiasi rapporto serio e Dio non voglia, vinca quella ignoranza di fede, quella esperienza cristiana, così povera, da non saper “rendere ragione della speranza che ci ha raggiunto”

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