OMELIA XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Anno C

LETTURE: Sap 18,3.6-9; Sal 32; Eb 11,1-2.8-19; Lc 12,32-48

Oggi nell’omelia vi sarà offerta una testimonianza legata all’effige della Vergine ferita di Batnaya che è tra noi. Padre Jalal Yako ci parlerà della presenza Cristiana, oggi nel Medio Oriente, in particolare in Iraq. Una testimonianza, non una comunicazione: la fede vissuta da tanti nostri fratelli che accetta anche al martirio pur di non tradire Cristo, l’unica realtà che conta.

La liturgia odierna è un forte invito a non lasciar cadere le parole che ascolteremo, perché, come affermavamo domenica scorsa noi siamo debitori di questi nostri fratelli e il debito non lo assolviamo con una offerta in denaro, pur necessario, ma con una profonda verifica della fede che viviamo. L’autore della Lettera degli Ebrei nel brano odierno, parla di questa “fede” come di una dimensione fondamentale della vita che mette in movimento verso qualcosa di grande che non potrà che realizzare i veri ideali del nostro cuore. Una fede che non imprime questa tensione, che non segna le scelte della vita quotidiana sino a darne la vita per essa non è fede Cristiana.

Che ne sarebbe stato del popolo d’Israele senza la certezza che Dio avrebbe portato a compimento il suo desiderio di libertà dalla schiavitù d’Egitto? Senza questa fede, non avrebbe saputo leggere i segni con cui Dio preparava questi eventi e goderne i frutti!

Cosa sarebbe la vita di questi nostri fratelli perseguitati se la fede non fosse in loro una virtù così forte da renderli certi di una vittoria anche in mezzo alle grandi catastrofi che la realtà loro impone?

La fede, è alimentata da Dio attraverso i fatti: gli avvenimenti della storia, dai più grandi ai più piccoli, quelli del quotidiano; essere pronti a leggerli, pronti a renderli occasioni privilegiata per lasciarci provocare e rimetterci in tensione verso di Lui, questo è l’atteggiamento di chi vuol “seguire”, di chi vuole essere “fedele”.

“Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.” Questa frase, in questi giorni di grazia per tutti, mi ritorna con forza continuamente alla mente: il dono ricevuto, la presenza tra noi della Vergine ferita di Batnaya, ha messo in movimento qualcosa della nostra vita, sta segnando la nostra comunità cristiana?

Devo confessare che la prima reazione è stata una sofferenza di fronte alla freddezza con cui molti, pur venendo a Messa e invitati a ritirare programmi e strumenti vari, hanno preferito non ascoltare l’invito, lasciando il tutto al proprio posto, quasi affermando con questo comportamento. “non sono cose che mi interessano, ora ho altro per la testa…!” Fratelli che soffrono e muoiono per la fede che affermo di avere, a cui a me, questo non interessa….!? Ci sarebbe da aprire un grosso discorso… su ciò che io chiamo ”fede”, sul modo con cui io ritengo essere il modo con cui Dio mi interpella, sulla omologazione al mondo che chiude il cuore e lo apre all’ “indifferenza” verso i segni della vita! Ma, per grazia, anche questa situazione paradossalmente è una provocazione: e tutti abbiamo di che lasciarci coinvolgere. Tutti siamo chiamati a fare i conti, dicevamo in qualche domenica di quelle trascorse, con una fede che, al contrario, viviamo ancora non come tale, ma come una religione. (vedi omelie delle ultime domeniche)

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