OMELIA XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO   

Anno B 
LETTURE: 1 Re 19,4-8; Sal 33; Ef 4,30-5,2; Gv 6,41-51

Dunque ““Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà”    «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

“Ma chi sei tu per pretendere di darci questo pane?”

Il pre-concetto distrugge subito la possibilità offerta: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».

Giovanni a questo punto introduce una sottolineatura fondamentale che il Cristiano non può mai dimenticare: la fede è grazia, è dono, nasce da un Incontro alimentato a sua volta da un cammino che, come in ogni realtà umana, ha la necessità di un lavoro, di un approfondimento, dove la ragione verifica l’esperienza nata e accresciuta e ne da un giudizio. Senza questo percorso anche le provocazioni più grandi, restano lettera morta. Una affermazione come questa non ha bisogno di verifica, se non la constatazione della realtà: Quante prime comunioni sono rimaste tali …! O, al contrario, quante prime comunioni hanno creato i santi.

“ Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.

Il segno del pane a ben riflettere, nella tradizione umana, spiega molto bene la “pretesa” di Gesù.  Già nella cena ebraica il Capo famiglia  all’inizio della celebrazione, spezza il pane e ne distribuisce una parte  del tutto a ciascuno dei commensali per ricordare: “se tu stasera mangi, e quindi vivi, è perché io oggi ho lavorato per te, per te oggi ho guadagnato questo pane, per te oggi ho dato la vita”.

Ma anche nelle nostre culture, il pane è il segno, “frutto della terra e del lavoro dell’uomo” che posto sulla tavola ricorda la vita spesa, offerta di chi lavora per tutti gli altri componenti la famiglia: Senza quella fatica, la tavola sarebbe spoglia e la vita non reggerebbe agli impegni chiesti. Potremmo dire chi mangia quel pane, mangia di me, del mio lavoro, del mio sacrificio, del mio amore per … “

Verificare che io vivo perché mio Padre e mia Madre lavorano per me è cosa semplice anche se spesso data per scontato.

Verificare che quel pane è il Sacrificio di Cristo, che, “offerto per me e per tutti” è “la vita del mondo”, chiede il coraggio che nasce da un grande amore al proprio cuore, cosa non del tutto scontata in una società come la nostra che si ferma  all’effimero, che si accontenta di star bene fisicamente, che mette tra parentesi la domanda vera di felicità, accontentandosi dei surrogati.

L’anno appena concluso ci ha regalato una nuova testimonianza, una tra le tante, quella di un giovane elevato agli onori dell’altare, il Beato Carlo Acutis, che aveva scoperto nell’Eucaristia “l’autostrada per il cielo”. Certo è stato il frutto di un lavoro che si era prefissato: rimanere “originale” e non rischiare di diventare “fotocopia”

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