OMELIA XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 

Anno C   LETTURE: Dt 30, 10-14; Sal 18; Col 1, 15-20; Lc 10, 25-37

 

«Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?»

E’ La domanda che ogni uomo attento a se stesso, che ama se stesso non può eludere. Il mio cuore, infatti, cerca in ogni cosa che compie, l’infinito: come posso allora raggiungerlo e gustare quella pace, che è risposta in tutte le nostre attese?

 

Tutta la storia dell’umanità è stata ed è questa ricerca. La risposta l’ha identificata in un dio che cerca di raggiungere con il “culto”. Gesto con cui in un certo senso, vuol “carpire” i suoi favori, la sua stessa vita.

 

Israele non è da meno. Attraverso i profeti scopre che il vero “culto” non sta nel propiziarsi Dio con i sacrifici e le offerte, ma con la vita, nell’osservanza dell’alleanza, con i suoi precetti e con i suoi doveri: precetti e doveri che non sono semplici comportamenti dettati dalla Sapienza di questo Dio, ma, se vissuti, inizio di risposta alla domanda del cuore. «Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima …..  Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica».

 

Gesù è venuto non per abolire la legge ma per portarla a compimento e nel Vangelo di oggi esprime tutto ciò con una meravigliosa parabola, che tutti conosciamo,  “Il buon Samaritano”.

E’ una parabola che descrive prima di tutto, e in modo meraviglioso, il suo “culto” quello al Padre: l’amore a quell’uomo “incappato nei ladri” per il quale si è incarnato,  perché abbia la vita e l’abbia in abbondanza.

Un  “culto” che Egli ripropone ai suoi, rimettendo in discussione, come i profeti, il “culto” del tempio per sottolinearne la nuova e definitiva strada al raggiungimento della vita eterna, alla pienezza di sé.

 

Siamo sulla strada che da Gerico porta a Gerusalemme, un sacerdote e un levita la stanno percorrendo per recarsi al tempio e offrire i sacrifici prescritti. Questo gesto esige la purità rituale, fermarsi e coinvolgersi con il malcapitato, porterebbe alla distruzione di questa purità e di conseguenza avrebbe impedito l’offerta. Il Samaritano al contrario non è legato a questi adempimenti, ma è in una condizione forse, ancor di più drammatica: Egli  è parte di un popolo, “nemico” di quello a cui appartiene quell’uomo caduto nelle mani dei briganti,  deve confrontarsi con una tradizione, con un comportamento profondamente radicato che fa vedere in colui che gli sta davanti un essere da disprezzare da lasciar nel suo mondo e nel suo destino. Un essere con cui non “contaminarsi”…

 

Tutte e tre hanno motivi sufficienti per andare oltre ….  Ma l’ultimo si ferma e si comporta come sappiamo, e, superando la stessa emergenza del momento, si fa carico di quell’uomo perché ritorni ad essere tale.

 

Ecco il nuovo e definitivo “culto” che Gesù per primo vive dall’alto della Croce indicandolo ai suoi discepoli come il vero modo di  “diventare”  Dio. (realizzare cioè la propria vita). L’amore infatti, anche e soprattutto al nemico, è l’atteggiamento che meglio corrisponde al cuore dell’uomo, che desidera amare e sentirsi amato e che lo eleva alla natura del Dio Trinità d’Amore.

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