LETTURE: Is 66, 10-14; Sal 65; Gal 6, 14-18; Lc 10, 1-12. 17-20
Dice Oggi il Profeta Isaia: “«Ecco, io farò scorrere verso di essa,
come un fiume, la pace; …
Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati.
Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò;
a Gerusalemme sarete consolati.
Coinvolgersi con la missione che Cristo indica ai suoi discepoli, significa fare questa esperienza su di sé e dilatarla agli altri, sino al mondo intero.
Gesù invia i settantadue, come ora invia ogni Cristiano in virtù del Battesimo ricevuto, attrezzati dell’unica forza che il Padre gli ha consegnato, la Sua Parola. Essa e non altro, dovrà coinvolgere l’uomo che l’accoglie, per creare nel mondo una esperienza nuova: “In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui,”. Una esperienza nuova, capace di vincere il male: “I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome», una esperienza nuova, anticipo e inizio del mondo definitivo dove il male sarà finalmente sconfitto: “Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli»
C’è una dinamica in questo andare: non un semplice fare per gli altri, anche buono, non una semplice condivisione del dolore umano per attenuarlo, ma tutto questo, perchè l’uomo arrivi a Cristo, faccia esperienza di Lui, l’unico Salvatore del mondo, oggi, e possa, domani, concludere il suo pellegrinaggio terreno con il suo nome, la sua consistenza, il suo essere, “scritto”, accolto definitivamente, in cielo.
Oggi assistiamo a tanti fatti, anche eroici, dai più quotidiani, quelli vissuti in famiglia, a quelli più grandi, capaci di partire … di dare la vita per cause veramente nobili, ma che dimenticano il bisogno essenziale dell’uomo: “che il Suo nome venga scritto in cielo”. Dimenticano, che il vero amore ai figli, come ad ogni uomo è, che incontrino Cristo oggi, per iniziare una vita che non finirà mai: chiarissimo San Paolo ai Corinzi: “ E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.”, ricordando che la “carità” è Dio, la Sua Natura.
Allora diventa comprensibile anche il brano odierno di San Paolo: “Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.”. Tradotto in parole povere: mancasse il riferimento a Lui, al mistero della sua salvezza, offerta per il mondo, nulla regge. Manca infatti il nuovo soggetto, che nasce dal Sacrificio di Cristo, quello capace di Dio, l’unico che da la certezza “del per sempre”“Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura.”
Lavorare, dare la vita per ciò che finisce, se pur apparentemente nobile, è come faticare per realizzare un’opera incompiuta, priva di quel fascino che la “eterna”. (il desiderio del cuore umano, infatti, sperimenta che tutto ciò che finisce lascia l’amaro in bocca, mentre, al contrario, ciò che è bello lo si desidera per sempre.) E’ come lavorare per una cosa che alla fine non reggerà, finirà …. Piccole parentesi di umanità nuova, senza però, prospettive di quella risposta totale, di felicità che il cuore attende da ogni suo agire e che implicitamente desidera per ogni uomo a cui tenta di donarsi o donare qualcosa.