OMELIA XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 

Anno C

LETTURE: 1 Re 19, 16.19-21; Sal 15; Gal 5,1.13-18; Lc 9,51-62

 

 

Ci ricorda oggi San Paolo:  “Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà”.  Ma che cosa è la libertà? Il mondo direbbe poter fare ciò che ci pare e piace. Il filosofo direbbe, con maggior rigore, la possibilità di costruire un proprio ideale. Non è libero chi è impedito per vari motivi, politici, economici, culturali … di costruirselo. Paradossalmente, allora,  essere liberi significa “dipendere” dall’ ideale che si è scoperto maggiormente capace di realizzare l’umano che c’è in noi. Più l’ideale è grande, più la vita va verso cose grandi.

 

La radicalità con cui Cristo chiede di seguirlo, come ideale della propria vita, traduce sino in fondo questa dinamica,  attardarsi su altri particolari rischia di distogliere dall’essenziale e far cadere nel pericolo di relativizzarlo, dando spazio ai vari compromessi che alla fine impediscono una esperienza vera.

 

E’ una radicalità che Gesù stesso attua nel tradurre la sua vocazione in risposta al mandato del  Padre senza paura delle difficoltà poste sulla sua strada: “Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme …” Gerusalemme è la città del grande Sacrificio e della Resurrezione.

 

Una radicalità che sembra sacrificare gli affetti più cari, gli slanci di generosità …  Un atteggiamento,  che troviamo spesso nel Vangelo e che ha lo scopo di “educare” e di dare centralità a ciò che poi darà senso a tutto il  resto. Un ideale vero, infatti, non esclude nulla dalla vita, ma dà, ad ogni cosa, la forma e il posto giusto, capace di costruire una unità di vita.  Dirà infatti San Paolo: “Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo, e Cristo è di Dio”.

 

Il pericolo odierno è la frammentarietà del proprio agire:  Tanti piccoli “ideali” che emergono nelle varie situazioni e portano a rispondere secondo gli interessi del momento, mettendo spesso tra parentesi il motivo ultimo per cui si dovrebbe agire.

 

Oggi il Cristiano sembra non scandalizzarsi più se la vita sociale, politica, economica, familiare …  è affrontata e costruita come se Cristo non ci fosse, non c’entrasse. . “Dio, anche se c’è, non c’entra”,  ha detto Cornelio Fabro:  La fede in Cristo, questo grande ideale, non da certo, soluzioni pre- costituite, lascia alla nostra responsabilità la gestione del contingente, ma da forma ad ogni scelta, perché tutto concorra “al bene di Chi ama il Signore”.

 

Un Cristianesimo vissuto, come “se Cristo non c’entrasse” è svuotato da ciò che lo rende significativo e attraente.  Ecco perché oggi, forse, il nostro occidente cristiano non comunica più niente di specifico, a differenza di un passato, di cui cogliamo ancora i segni nell’arte, nella musica, nella letteratura, in tante istituzioni attente all’uomo, nate appunto dall’amore a Cristo.  Al massimo, troviamo ancora una morale del quieto vivere, di quell’ essere “onesti” di evangelica memoria in cui si dirà “ma anche i pagani fanno la stessa cosa” e allora, se anche i pagani fanno così, che serve dirsi cristiani?

 

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