Anno C
LETTURE: 2 Re 5, 14-17; Sal 97; 2 Tm 2, 8-13; Lc 17, 11-19
Ciò che abbiamo ascoltato è una lezione profonda: un invito a saper leggere i segni con cui Dio provoca la nostra vita, riconoscerli e accoglierli come segno del Suo amore, perché portino ad un risultato: una fede più matura, sempre più adulta.
Diciamo che questo lavoro, leggere, riconoscere e coinvolgersi con i segni, è favorito dal silenzio vissuto come dimensione della vita, non è immediato (stupirsi e interrogarsi davanti ad ogni fatto che accade non è automatico). Namaàn ci arriva dopo una lotta con sé stesso, come frutto di obbedienza ad una amicizia che lo aiuta a leggere le circostanze che mettevano in discussione il suo modo di concepire Dio, al contrario dei lebbrosi che “ricchi” ormai della conoscenza del Dio d’Israele diventano incapaci di superare lo scontato, il già saputo, e riconoscere nel dono della guarigione l’opera dell’Altissimo che chiama a conversione, ad eccezione di quell’unico “straniero”
Alla fine di questo percorso Namaàn potrà dire: «… il tuo servo non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dèi, ma solo al Signore». “lo straniero” lebbroso risanato potrà sentirsi dire: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!» I due episodi vanno oltre al semplice grazie dunque, spalancano ad un’esperienza che cambia e matura la vita!
C’ un particolare in entrambi i fatti: chi è beneficato è “uno straniero”. Non è la prima volta che nella Sacra Scrittura chi sa riconoscere il Signore e cambiare vita nell’incontro con i suoi segni, è straniero: forse un’accusa non troppo velata a chi, dopo aver conosciuto Cristo e entrato in rapporto con Lui con il battesimo, inizia a comportarsi come uno che sa già tutto e non ha più bisogno di imparare… !
Conosciamo tutti, perché tutti poco o tanto ne siamo implicati, di come certa mentalità, che riduce la fede a religione, ha già deciso a priori quale deve essere il proprio comportamento con Dio, le cose da fare e non fare, abolendo l’imprevisto, per cui tutto ciò che accade (metodo con cui Dio interpella) non muove, non commuove… più! Per i migliori che ancora pensano, il giudizio può esserci ma sempre, purtroppo frutto di logiche mondane. “Dio se c’è, non centra”
I nove lebbrosi, risanati, si accontentano di obbedire alle prescrizioni di una religione che imponeva loro di eseguire “il tampone” presso i sacerdoti prima di rientrare nella società, e nulla più!
Una applicazione di quanto sopra: la lebbra è sempre stata sinonimo di peccato che esclude dal rapporto con Dio e con la Comunità; ancora, la lebbra come il peccato è completamente risanato dopo l’assoluzione del ministro della chiesa, che nel constatare la “guarigione”, ristabilisce la comunione del soggetto con Dio e la comunità ma poi, in luogo di gratitudine, il tutto si ferma lì. (vedi i nove lebbrosi). Tutto questo sembra ricalcare un certo modo con cui vengono vissute certe confessioni: un lasciapassare per accostarsi a determinati sacramenti, celebrati i quali tutto finisce lì. Confessioni senza stupore e gratitudine, senza dolore senza… e tutto rimane come prima. La verifica, che cosa cambia per questi soggetti della loro vita dopo aver celebrato il sacramento del perdono in vista di prime comunioni, cresime, matrimoni…. o altro simile? Gesti che non accrescono la fede e mancano del totale impegno a ricominciare una esperienza più autentica, frutto di una naturale gratitudine.