OMELIA XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Anno C  LETTURE: Ab 1,2-3; 2, 2-4; Sal 94; 2 Tm 1,6-8.13-14; Lc 17, 5-10

 

 

Questa prima domenica di Ottobre , con la liturgia che celebriamo, vogliamo introdurci nel mese missionario straordinario che Papa Francesco ha voluto per tutta la chiesa cattolica per ricordare i 100 anni da una grande enciclica di Papa Benedetto XV in cui, l’allora pontefice,  richiamava con forza il compito di ogni Battezzato: essere “in Missione”, sentirsi in ogni ambito della vita missionario:  La Chiesa c’è, io sono cristiano per un unico scopo “annunciare e portare al mondo la salvezza di Gesù Cristo, morto e risorto”

 

Ecco allora San Paolo nella lettera al discepolo Timoteo ripeterci: “Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo.” E perché questo accada: “Figlio mio, ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza.”

 

Certo, Per Timoteo, perché questo continui ad accadere, è importante fare memoria del perché ha ricevuto Il Battesimo e il Sacramento dell’ordine, Per noi, del perché abbiamo ricevuto Il Battesimo e il Sacramento che ci ha reso corresponsabili nel mondo della missione di Gesù: testimoniare il Padre e il Suo Amore per ogni uomo, il Sacramento del Battesimo e del Matrimonio o una particolare consacrazione.

 

Se questo è il nostro compito, e non altro, non possiamo vivere la nostra fede come se fosse una della tante cose che ci è “capitata” a cui dobbiamo l’attenzione di qualche momento giornaliero o domenicale, ma, vista l’affermazione iniziale, ogni istante del nostro vivere deve essere  “informato”, deve prendere forma da quanto per grazia ci è accaduto. Una “forma” che testimonia a noi e a chi ci incontra che siamo di Cristo.

 

Il primo passo, per assolvere questo compito, è quello di non dare mai per scontato quanto ci è accaduto e “richiederlo” in continuazione: “ Signore: «Accresci in noi la fede!”.

 

Il secondo passo è vivere un giudizio sul nostro comportamento. Il profeta Abacuc ci offre un esempio: davanti a tutto ciò che accade di negativo nella vita, quale la nostra reazione?.  Colui che vive di fede non è mai schiavo della circostanza, sa che Dio è il Signore della storia e che tutto accade sempre per un di più, per un positivo, certo, che va cercato, riconosciuto nei segni della vita, perché nulla accada invano: “«… È una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce;  se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà. Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto,  mentre il giusto vivrà per la sua fede».

 

Il terzo passo, è  ancora un giudizio. Verificare se questa “forma” di vita è espressione di gratitudine per ciò che ci è accaduto, per la scelta che Dio ha posto su di noi, dove il nostro agire, nel totale abbandono, non cerca altro che vivere la fede non per uno scopo “interessato”, ma nel  “totalmente gratuito”. (Non per “meritarsi” le grazie che chiediamo) Infatti: “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”», cioè: nell’agire, non abbiamo cercato il nostro utile, ma solo  la Gloria di Dio, l’unico miracolo capace di trasfigurare la vita e rendere all’umano, limitato e povero, l’impossibile,

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